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Riso all’uva nera

Ingredienti per 4 persone

  • gr 300 di riso Vialone Nano
  • gr 500 di uva nera
  • 1 scalogno
  • dl 1,5 di vino rosso
  • brodo vegetale (la ricetta per prepararlo in casa la trovate a questo link)
  • 1 cucchiaino di amido di mais
  • 1 rametto di rosmarino
  • olio evo
  • sale marino integrale
  • pepe

Preparazione

Sgranate l’uva, lavatela e asciugatela. Tenete da parte qualche chicco per decorare.

Disponete metà degli acini bello schiacciapatate e spremete il succo in una ciotola e mescolatelo con il vino. Tagliate a metà gli acini rimasti ed eliminate i semi.

Fate appassire lo scalogno tritato in 3 cucchiai d’olio con 1 pizzico di sale e 2 cucchiai d’acqua a fuoco basso per 5-6 minuti, finché sarà morbido.


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Aggiungete il riso e tostatelo a fuoco medio per 2-3 minuti, mescolando. Irrorate con il mix di vino e succo d’uva appena scaldato e lasciate evaporare.

Versate 2 mestoli di brodo vegetale bollente, mescolate e proseguite la cottura per 16-18 minuti, unendo 1 mestolo di brodo caldo quando il precedente sarà evaporato, mescolando ogni volta.

L’ultima volta che aggiungerete il brodo, unite anche gli acini d’uva.

Quando il riso sarà al dente, diluite l’amido con 2 cucchiaini di acqua fredda e incorporatelo al risotto, regolate di sale e pepe e spegnete. Coprite e fate riposare per 1 minuto.

Servite il risotto decorando con l’uva rimasta e un ciuffetto di rosmarino.

Ricetta di Roberta D’Alessandro

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Ventiduesima Sagra della Bruschetta a Monteleone Sabino

 

Amanti dell’olio buono, di quello buono veramente fatto ancora come un tempo e con olive di prima qualità, lavorato a freddo, ecco l’evento che fa per voi, ovvero la Sagra della Bruschetta di Trebula Mutuesca in provincia di Rieti, attuale Monteleone Sabino.

Qui si produce un olio extravergine di oliva tra i più noti in Italia. Domenica 19 novembre, in occasione della 22^ edizione, potremo conoscere da vicino questo oro verde e i suoi segreti.

Monteleone Sabino è un borgo che trasuda miti e leggende medioevali e sarà piacevole percorrere i suoi vicoli. Potremo visitare il frantoio biologico e vedere da vicino come avviene la lavorazione delle olive con le macine di pietra.

Assistere alla lavorazione dei prodotti della terra è sempre uno spettacolo che attira grandi e piccini. Potremo restare affascinati dalle ruote delle macine che frantumano le olive in una pasta di polpa e nocciolo. Sarà poi il sapiente frantoiano quando l’impasto è pronto per essere steso sui fiscoli, dischi tessuti con corde, per poi essere spremuto nelle presse.

Vi è venuta voglia di assaggiare e magari portarne qualche bottiglia a casa, acquistandolo direttamente dai produttori? Niente paura, anche quest’anno sarà possibile farlo.

 

L’odore dell’olio, la sua fragranza, faranno da antipasto al pranzo che potrà essere gustato al coperto, nello spazio allestito dalla Pro Loco per degustare manicaretti tipici accompagnati, manco a dirlo, dal vino novello e conditi con l’olio nuovo.

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La regina della festa arriverà alle ore 14.30. La sfilata del filone di pane lungo 20 metri, da cui saranno tagliate le bruschette per la degustazione gratuita, che avverrà in piazza alle ore 15.00.

Anche quest’anno verrà premiato l’olio migliore della Sagra, nella quinta edizione del Concorso  “Oliviferaque Mutusca – L’Oro verde di Trebula Mutuesca”.

Una domenica all’insegna dei sapori e della storia. Infatti, dalle ore 10.00, si potranno visitare il museo archeologico e gli scavi, e il Santuario di Santa Vittoria guidati dagli operatori dall’Associazione Culturale Trabes.

Il tutto sarà accompagnato da spettacoli folcloristici e canti popolari. Parlavamo prima di leggende e miti, come quella legata al culto della patrona del paese.

La Santa si convertì al cristianesimo sotto l’Imperatore Decio, attorno all’anno 250. Un orribile drago, che aveva fatto di una grotta il suo riparo, terrorizzava la popolazione di Trebula. Vittoria riuscì cacciarlo.

Vittoria, nonostante tutto, fu invitata da un funzionario, Taliarco, ad abbandonare il cristianesimo e venerare la dea Diana, e al suo rifiuto venne trafitta con un colpo di pugnale e dove avvenne il fatto l’erba, così si dice, non cresce più. Santa fu seppellita nella grotta del drago e lì venerata.

Gli ingredienti ci sono tutti per una bella, profumata, gustosa e rilassante domenica fuori porta.

Per maggiori informazioni potete scrivere a monteleonesabino@virgilio.it , visitare la pagina face book della Pro Loco Monteleone Sabino.

Articolo di Alessandro Rotondi

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Il Vino parte terza: la vinificazione del Rosso e del Bianco

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Eccoci nuovamente a parlare del nettare degli dei, il Vino.

In precedenza ci siamo occupati della sua storia, del ciclo della vite e di come naturalmente si ottiene il Vino. Questa volta, come anticipato, parliamo di come si fanno il Rosso e il Bianco.

Una volta che l’uva è matura si procede alla vendemmia nella quale si raccolgo i grappoli. Immaginiamo di essere in campagna, la vendemmia è stata effettuata, e i grappoli di uva sono stati già raccolti in cassettoni o bidoni, un tempo di legno oggi di plastica, a Roma diremmo “bigonzi”.

CIBO CRUDO
Per ottenere un qualsiasi succo è necessario, lo sappiamo, spremere. Lo stesso avviene con l’uva, e si parla di pigiatura.

Se la nostra uva è rossa, con tutto il raspo, il grappolo intero per capirci, viene messa in una vasca dove avviene la pigiatura, tecnica mediante la quale si ottiene il mosto, il succo.

Il mosto così ottenuto rimane a contatto con raspo, bucce (vinacce) e semi per un tempo più o meno lungo.

E’ così che avviene la fermentazione, durante la quale il mosto diventa vino, per mezzo di una reazione chimica di cui abbiamo già accennato il precedenza.

Esattamente come per la Birra, i lieviti, presenti naturalmente nell’uva matura, danno origine a una reazione con gli zuccheri che si trasformano in alcol etilico (o etanolo o alcool etilico).

Stiamo parlando del 60% dello zucchero del mosto. La questione non è da sottovalutare infatti la gradazione è legata alla percentuale di zucchero presente nel mosto.

Per ottenere un vino di 120 millilitri di alcol etilico, 12 gradi, alcolici, è necessario un 20% di gradazione zuccherina.

Gli zuccheri restanti dopo la trasformazione in alcol sono i responsabili del profumo e del gusto del nostro vino. La fermentazione produce, infine, anidride carbonica.

La fermentazione del mosto con le vinacce per un periodo da una settimana e quindici giorni è detta vinificazione con macerazione o vinificazione in rosso.

Quest’ultima definizione prende origine dal colorante presente nella buccia dell’uva che si scioglie con l’alcol. Le vinacce vengono a galla, creando il cosiddetto cappello e si rende quindi necessario spingerle in basso per permettere il contatto con il mosto.

A seconda del metodo meccanizzato o manuale che si utilizza per la vinificazione, il cappello può essere immerso attraverso la follaturarimontaggio o fermentazione a cappello sommerso.

La follatura (figura a destra) consiste nello spingere le vinaccefollatura-figura-2 nel mosto da parte del vignaiuolo, almeno due volte al giorno.

Il rimontaggio (figura in alto) avviene con l’innaffiamento del cappello con il mosto stesso, prelevato dal basso e spinto in alto mentre per la fermentazione a cappello sommerso si utilizza un graticcio immerso ne mosto che tiene le vinacce sommerse.

Il vino nuovo o fiore, dal colore torbido e ricco di anidride carbonica, al termine della fermentazione viene separato dalla vinacce, svinatura, attraverso un travaso.

Questa operazione ha lo scopo di privare il vino dei residui, rendendolo limpido ed evitare che degradandosi rechino danno alla salubrità e alla stabilità del nostro vino.

Le parti solide tendono a depositarsi sul fondo. È il momento della svinatura quando il si assopisce il gorgoglio e la superficie tende a essere pulita.

Per il vino novello, che va consumato presto, viene lasciato a macerare per 4/5 giorni nelle vinacce e svinato prima che sia terminata la fermentazione.


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I vini robusti e strutturati, di lunga conservazione, vengono svinati alcuni giorni dopo la fermentazione, questo per permettere una maggiore permanenza del vino a contatto con le bucce.

Finita la fermentazione, si riempie un mezzo bicchiere e si lascia all’aria e a temperatura ambiente.

Se dopo qualche giorno di fermo non si notano cambiamenti nel colore, nell’odore e nel sapore, si può procedere con la svinatura.

Se invece il vino ha cambiato colore, si è intorbidito, vuol dire che è affetto da “casse ossidasica”, e la svinatura deve essere rinviata, aggiungendo al vino metabisolfito di potassio, che ha funzione di conservante, battericida, decolorante e ossidante e ripetendo la prova dopo due tre giorni.

Se il problema persiste, dimezzare la dose di metabisolfito, e ripete fino a quando il vino non si sarà stabilizzato.

Dove travasiamo e dove conserviamo?

 

La scelta non è peregrina. Se tutti i tipi di contenitori sono utili per il travaso, non è lo stesso per la conservazione. Nelle varie fasi della vinificazione i contenitori si differenziano per materiale, grandezza e igiene, nel senso che qualunque sia il contenitore non deve alterare la salubrità, le qualità, il profumo e la stabilità del nostro vino.

Se è un bianco per la fermentazione vengono preferibilmente utilizzati contenitori inerti, ovvero che non permettono il contatto con l’esterno, quindi parliamo di acciaio, vetro e cemento.

Per il rosso, invece, vanno per la maggiore contenitori porosi quali barrique (piccola botte di legno di rovere stagionato e tostato dalla capacità di 225-228 litri), tini e botti. Quindi, il legno.

Questi vanno cambiati ogni quattro-cinque anni, proprio per le loro caratteristiche.

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Per la conservazione dei novelli e dei vini da consumarsi entro i tre anni, vanno bene le vasche di cemento, che sono poco costose.

L’acciaio è ottimo sotto l’aspetto igienico, meno per la temperatura, e quindi necessita di termoregolatori.

Il vetroresina è ottimo per la produzione casalinga, sono economici e risentono meno del cambiamento di temperatura.

Per la fermentazione e la conservazione di piccole quantità le damigiane di vetro sono ottime. Qualsiasi sia il contenitore, ovviamente, nuovo o usato, prima di essere utilizzato deve essere lavato accuratamente.

L’elemento in comune è l’acqua bollente. Per le botti nuove o con doghe rifatte si aggiunge soda e vanno sciacquate accuratamente, fatte asciugare e bruciato al loro interno zolfo.

 

Quelle usate devono essere spazzolate per rimuovere incrostazioni, con aggiunta di metabisolfito di potassio, poi si procede come per le nuove. Per gli altri contenitori si aggiunge soda.

Per quanto riguarda la “vinificazione in bianco” la macerazione avviene dopo la separazione delle vinacce dal mosto. Con questo metodo è possibile ottenere vino bianco da qualsiasi uva.

Diversi sono gli spumanti e champagne prodotti con uve rosse e bianche. In quest’ultimo caso si parla di “blanc de blancs”. Dalla pigiatura delle uve, private di raspi, bucce e vinaccioli, si ottiene il mosto fiore, che si lascia fermentare per 10-20 giorni, ad un temperatura inferiore ai 20 gradi centigradi.

Per incrementare aromi e profumi del nostro bianco è necessario aumentare il periodo di contatto con bucce e vinacce, 12-36 ore a una temperatura di 7-10 gradi. È la criomacerazione.

Le tecnologie moderne permettono di ottenere bianchi di un alto livello di qualità prolungando la macerazione di 8-10 giorni a temperature ancora più basse, intorno ai 0°. Il risultato è un bianco di un profumo e una struttura non ottenibile tradizionalmente.

Se poi lasciamo riposare un bianco robusto in botti piccole, 250-400 litri, per tre mesi fino ad un anno, si ottiene un prodotto in grado di suscitare al palato sensazioni inaspettate. In Italia questa tecnica non è molto utilizzata. Un esempio eccellente ne è il Verduzzo, famoso vino friulano, che ben si sposa con la barrique.

La vinificazione qui trattata è relativa a produzioni non industriali del vino, nella quale si utilizzano tecnologie moderne per il controllo della temperatura e altri accorgimenti. Un’idea di come si fa il vino, rosso e bianco, credo che comunque ce la siamo fatta. Non resta che scegliere il vino per stasera.

La vite viene coltivata in differenti modi dando vita a differenti vitigni e da ognuno si ottiene un diverso vino.

Di questo parleremo la prossima volta.

Articolo di Alessandro Rotondi

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Il Vino parte seconda: la Vite e la vinificazione

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La scorsa volta abbiamo tracciato la storia del Vino, raccontando i passaggi della pianta della vite, da una territorio all’altro e da un popolo all’altro, ma abbiamo parlato anche della viticultura.

Andiamo ora a conoscere le basi del Vino.

Un bicchiere di vino è  il risultato di diversi passaggi, in cui si intrecciano il ciclo della natura e il lavoro dell’uomo. Tutto nasce da una pianta, la Vite per l’appunto che in natura nasce spontaneamente, e alle origini si propagava grazie agli uccelli che ne mangiavano i dolci frutti.

Non sappiamo come i nostri antenati abbiano scoperto questo meraviglioso dono. Quando il frutto matura si rompe ed esce il succo. Il vino è il prodotto della fermentazione degli zuccheri, attivata dai lieviti contenuti nell’uva.

La parola Vite deriva dall’omonima espressione latina, derivazione dall’indoeuropeo Viere = curvare, intrecciare. È una pianta rampicante, diffusa in vaste zone della Terra.

Può resistere a -15°C in inverno. Per germogliare ha bisogno di una temperatura tra gli 8 e i 13 gradi Centigradi, fiorisce con una temperatura compresa tra i 16°C e i 20°C e per la maturazione predilige un clima tra i 18°C e i 23°C.

Durante la fioritura grandinate e gelate sono sue nemiche acerrime, perché distruggono le gemme e i fiori non consentendo ai frutti di formarsi. Se durante la maturazione il clima è troppo umido, il rischio è che i frutti si ammalino marcendo.

Avete mai sentito parlare del “ramato”, di dare il ramato? Il rame si usa per combattere un parassita notevolmente ostile della vite, la famigerata Peronospora, mentre lo zolfo contrasta l’Oidio, altro parassita assai temibile per la nostra preziosa amica.

Quali sono le fasi che dettano il ciclo biologico della pianta? Si parte dal germogliamento, ovvero lo schiudersi delle gemme che avviene nel mese di marzo. Tra aprile e inizio giugno, secondo l’ubicazione, è la volta della fioritura.

L’impollinazione avviene attraverso il vento. La trasformazione dei fiori in frutti, acini, è detta alligazione, e avviene solitamente nel mese di luglio.

Non tutti i fiori divengono acini, solo una piccola parte. La restante cade (colatura) o si allunga divenendo viticci, la cosiddetta filatura. Entrambi i fenomeni sono di auto protezione. La vite così facendo evita di disperdere sostanze nutritive.

Nei casi di carenze nutrizionali o clima avverso, la pianta da origine a un terzo fenomeno spontaneo, l’acinellatura, con la quale blocca la crescita di acini già formati.

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La terza fase è l’invaiatura, nella quale gli acini crescono e prendono il colore rosso o giallo. L’ultima fase, precedente alla raccolta, è la maturazione, che ha una durata tra i 40 e i 50 giorni, durante i quali il frutto aumenta di dimensioni e si colora più intensamente.

Si arricchisce di zuccheri e sulla buccia si forma una patina bianca, la purina, che ha la funzione di proteggere gli acini dagli agenti climatici esterni e trattenere i microrganismi che si chiamano lieviti, che attivano la fermentazione.

Il primo raccolto, di solito dopo tre anni, non è molto soddisfacente, per questo bisogna saper pazientare almeno cinque anni. Con il passare del tempo la qualità aumenta.

Il declino progressivo della vita inizia quando raggiunge i 30-50 anni.

La coltivazione della vite è evidentemente collegata alla nascita della civiltà contadina, quando l’uomo da nomade diviene stanziale, sedentario, creando con essa un legame indissolubile. Sin dalla metà dell’800 la vite viene coltivata con successo in Europa, parliamo delle vitis vinifera.

Nello stesso periodo dall’America del nord giunge la terribile Fillossera, un insetto che ha creato enormi problemi alla vite europea.

Se ne accorsero per primi i francesi, era il 1860. In Italia sbarca 20 anni dopo, diffondendosi con molta rapidità. L’insetto attacca le radici facendole marcire.

La lotta fu lunga e inconcludente. La vite americana essendo resistente all’insetto fu innestata a quella europea, salvando così la nostra viticultura.

Per ora chiudiamo qui. Nella III parte vedremo come viene eseguita la vinificazione del vino rosso e del vino bianco.

Nel frattempo, non mi resta che augurare buon vino a tutte e tutti.

Articolo di Alessandro Rotondi

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Il Vino per i menù di Natale e Capodanno

Dal connubio (ma soprattutto dal matrimonio) tra un amante dei vini e una cuoca sopraffina nasce tutto ciò…

Buone Feste da tutti noi!!!!

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Della Birra di Natale abbiamo già detto, e degli abbinamenti per i banchetti dei giorni di festa.

Ora occupiamoci dell’abbinamento del vino con i piatti del menù di Natale e Capodanno, presentati dalla nostra Mastercheffa Roberta D’Alessandro.

Iniziamo, senza indugio alcuno, cominciando dagli antipasti.

Roberta per Natale ci propone Carciofi alla Giudia e Crepes di ceci e alga nori, con i quali si sposano bene le bollicine di un prosecco di carattere, la cui fermezza e il cui sapore deciso ben si sposano con il fritto e l’amaro del carciofo ma anche con la delicatezza delle crepes, a contrasto.

Fate attenzione, non deve essere uno spumante o un vino secco, no, accertiamoci che sull’etichetta sia scritto prosecco, meglio se superiore e docg (denominazione di origine controllata e garantita).

Lo stesso vale per Capodanno, per equilibrare la dolcezza delle Chips di zucca, come anche delle patate e delle melanzane sulle bruschette e della samosa di verdure.

Passiamo ai primi. Schiaffoni ripieni veg per Natale, con cui si sposa bene un vino bianco come il San Severo o un rosato, da servire fresco.

Con gli Spaghetti alla vodka ed erbe aromatiche di Capodanno, che beviamo? Ci vuole un vino che esalti e non copra l’aroma della vodka quindi, anche qui un bianco leggero è l’abbinamento ideale.

 

I secondi di Natale, Polpettone di fave e spinaci e i carciofi ripieni, con un buon Vermentino di Gallura scendono decisamente meglio, come anche con le Polpette veg e il Seitan impanato della cena per salutare l’anno vecchio e accogliere il nuovo.

Il Vermentino va servito freddo, tra i sei e gli otto gradi e con il suo profumo delicato e il gusto morbido e leggermente amarognolo, accompagna bene questi piatti come anche i relativi contorni, suggeriti dalla nostra Cheffa.

Eccoci alla fine delle nostre cene festaiole, quindi ai dolci. Per Natale consiglio bollicine, meglio se dolci. Il Brachetto d’Aqui, servito non troppo freddo, accompagna bene sia il Panettone veg alle creme e frutti di bosco, sia il Pandoro veg ma anche la Sfoglia cometa.

Dal perlage persistente, l’effervescenza dei vini spumante, il Brachetto è dolce e delicato, il che lo rende ideale per i dessert e i dolci da forno,  come accompagnamento alla frutta, non solo fresca. Il Brachetto si sposa bene anche con la frutta secca, in particolare, tra l’altro, con le mandorle.

Mandorle che sono uno degli ingredienti del Budino proposto in alternativa alle Crostatine veg cioccolato e pere. Con questo dolce dalle note dolci e amare, in alternativa, propongo il Vin Santo, in particolare toscano o umbro, che è poco dolce e rinfresca il palato. Meglio se servito a temperatura ambiente.

Con la speranza di aver fatto onore ai menù della Mastercheffa Roberta, non mi resta che augurarvi buon pranzo di Natale e buona cena della fine e dell’inizio anno, senza dimenticare che il bicchiere non deve essere mai vuoto e mai pieno.

Alla salute!

Articolo di Alessandro Rotondi

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Il Vino. Parte Prima: dalle origini a nostri giorni

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Inauguriamo oggi una nuova rubrica, che si occuperà di vino. A parlarcene sarà Alessandro Rotondi, che segue per noi anche la sezione della birra.

Del vino abbiamo avuto modo solo di accennare, parlando per lo più di sagre e novello. Andiamo dunque, senza indugio alcuno, a conoscere da vicino questa bevanda naturale che da sempre allieta le tavole, sin da tempi antichi, ancor prima della nostra amata Birra.

Le leggende sul vino si perdono nella notte dei tempi, tanto che Noè in persona ha imbarcato la vite sull’Arca e nell’Eden altro che mela, il frutto proibito sembra fosse la succulenta, dolce, tonda e invitante uva.

Venendo alla Storia, diverse sono le testimonianze che i nostri avi ci hanno lasciato. Se è vero che la storia della civiltà è passata per la Mesopotamia, dove è nata l’agricoltura con la fine del nomadismo.

Gli esperti e gli storici propendono sempre più per indicare l’India quale origine della vite, che poi nel terzo millennio avanti Cristo si sarebbe diffusa in Asia per poi sbarcare nel Mediterraneo.

La vite, appunto. E’ una pianta spontanea che in natura si propaga attraverso gli uccelli che sono ghiotti di uva, questo perché è molto dolce. A maturazione i chicchi si rompono e il loro contenuto fuoriesce.

L’uva contiene un alto grado di zuccheri e lieviti che attivano la fermentazione naturale, da cui la trasformazione in alcol: ecco il vino. Torniamo alla Storia. In Egitto sono stati rinvenuti geroglifici datati 2.500 a.C. in cui sono descritti diversi tipi di vino.

Era talmente diffusa la coltivazione della vite e la produzione di vino che del corredo funebre del faraone Tutankhamon facevano parte anfore contenenti vino. Riportavano l’annata, la zona di provenienza e il produttore.

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Tramite gli Egizi la vite si diffuse tra i Greci, gli Ebrei e gli Arabi. Per quanto riguarda l’Italia e l’Europa, il vino è passato dalla Sicilia, per diffondersi tra i Sabini e in particolare gli Etruschi, che divennero abili vignaioli, tanto da estendere la coltivazione della vite dalla Campania alla Pianura Padana.

I Romani furono inizialmente poco amanti del vino, per poi cambiare idea e divenirne cultori con la conquista della Grecia, tanto da dedicargli un dio, Bacco.

La vite e il vino si diffondono, così, in tutto l’Impero Romano. In guerra veniva usato anche come medicina sfruttando i suoi principi battericidi.

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Tempi duri per il vino con la nascita e la diffusione della religione cristiana e il declino dell’Impero. Era accusato di procurare un piacere effimero e dare ebbrezza.

Altro nemico del vino è stato l’avvento nel bacino del Mediterraneo dell’Islamismo, con la messa al bando della viticultura in tutti i territori occupati. Il vino non scompare del tutto grazie ai monaci e agli ebrei che producevano, quasi del tutto clandestinamente, il vino per i riti religiosi.

Con il Rinascimento la viticultura e la vinificazione torna a nuova vita in Occidente. Infatti, è nel corso del XVII Secolo che si sviluppa l’utilizzo dei tappi di sughero, le bottiglie sono meno costose e l’arte dei bottai si affina, determinando migliorie al trasporto, alla conservazione e quindi al commercio del vino.

A partire dalla rivoluzione industriale, poi con le nuove scoperte scientifiche fino ad arrivare nel Diciannovesimo Secolo molto cambia, affianco e a sostegno della viticultura contadina scendono in campo studiosi, che si adoperano per innalzare sempre più la qualità del vino.

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Non è un caso se Pasteur, lo scopritore della penicillina, nel 1866 scriveva, nei suoi Studi sul vino (Etudes sur le vin), che “il vino è la più salutare e igienica di tutte le bevande”. Ancora oggi Pasteur non viene smentito. Se nell’acqua, per quanto imbottigliata, alcuni batteri persistono nel vino, grazie all’azione dei tannini, all’acidità e all’alcol, muoiono, facendone la bevanda più salutare, a patto che venga assunta in dosi opportune, l’ideale sarebbe tutti i giorni un bicchiere a pasto.

L’assunzione moderata ma costante di vino rosso ha effetti positivi sul sistema cardiovascolare.

Il nostro viaggio nel mondo del vino non finisce certo qui. Parleremo delle proprietà del vino, della vite e del suo ciclo, della catalogazione dei vitigni. Andremo a scoprire come avviene della vinificazione del vino rosso e bianco e faremo un giro d’Italia per conoscere l’enografia e la classificazione. Il nostro viaggio nel mondo del vino terminerà con la degustazione e gli abbinamenti a tavola, come servirlo e in quali bicchieri.

Stasera, quando tornate a casa, prendete due bicchieri, il vino è buono anche da soli ma in compagnia è meglio perché l’alcol aggrega,  a calice mi raccomando se rosso, e stappate una bottiglia.

Rilassatevi e alla salute.

Articolo di Alessandro Rotondi

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Riso all’arancia e zucca

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Ingredienti per 4 persone

  • gr 280 di riso carnaroli
  • 1 scalogno
  • ml 50 di olio evo
  • gr 200 di polpa di zucca
  • 2 arance
  • ml 100 di vino bianco bio
  • l 1,2 di brodo vegetale
  • timo
  • sale marino integrale
  • pepe
  • semi di zucca decorticati (a piacere)

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Preparazione

Preparate il brodo vegetale con la nostra ricetta.

Tagliate la zucca a cubetti e tritate finemente lo scalogno.

Spremete un’arancia e mettete da parte il succo, sbucciate l’altra e tenetene da parte 6 spicchi.

Mettete sul fuoco una casseruola con l’olio evo, lo scalogno tritato e fatelo  appassire a fuoco lento. Unite la zucca tagliata e rosolatela 5 minuti, mescolando ogni tanto.

Aggiungete il riso e tostatelo per 2 minuti. Sfumate col vino.

Aggiungete il succo d’arancia, quando il vino è sfumato del tutto, e cuocete a fiamma bassa 5 minuti, salate e pepate.


Unite un mestolo di brodo vegetale ben caldo, mescolate delicatamente e continuate la cottura aggiungendo il brodo ogni volta che il riso l’assorbe.

Aggiungete gli spicchi d’arancia a metà cottura. Cuocete il risotto per circa 18 minuti.

A cottura ultimata servitelo caldo guarnendo con il timo, se volete aggiungere un elemento croccante, completate con una manciata di semi di zucca decorticati.

Ricetta di Roberta D’Alessandro

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Fine settimana alla scoperta dell’olio e del vino nuovo, tra feste e sagre

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Settembre, ottobre, novembre. I colori cambiano. Le foglie si fanno gialle e rossicce, il cielo si vela, e si fa prima scuro. Si riaccendono i camini, le stufe per arrostire le castagne, bruschettare il pane fragrante, su cui versiamo alcune gocce di profumato olio nuovo, brindando con del buon vino novello.

Tempo di autunno, tempo di sagre dedicate alla tradizione agricola del nostro paese. Profumi, colori, atmosfere sempre uniche e nuove, che si ripropongono di anno in anno.

Luoghi raccolti, non molto distanti dalla frenetica vita cittadina, dove ritrovare serenità, allegria e sapori legati alla stagione in corso.

Parlavamo appunto di olio e vino. Il Lazio, l’Alto Lazio, la Tuscia in particolare, non molto distante magari da Roma, ci propone sempre belle occasioni.

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Ecco che nel week end alle porte, 11/12/13 novembre, a Vignanello, piccolo centro della provincia di Viterbo, va in scena la XVII Festa dell’Olio e del Vino novello. Tre giorni all’insegna di rievocazioni storiche, percorsi informativi, in cui rivivere un angolo di storia.

Tracker Localizzatore satellitare GPS per controllare i spostamenti in diretta

La Pro Loco di Vignanello, in collaborazione con Associazioni locali, ci invita a salire a bordo di una “macchina del tempo e di far toccare con mano, far provare i mestieri perduti e manualità dimenticate, attraverso anche gli spettacoli e alcuni sport in uso per far rivivere quell’ Italia del Rinascimento”, con visite guidate al Castello Ruspoli, ai Connutti nella città sotterranea, alla baroccheggiante Chiesa Colleggiata .

Tutto questo a far da cornice all’assaggio dell’olio appena franto e del primo vino dell’ultima vendemmia, ad accompagnare piatti tipici nelle taverne sulle note degli stornelli. Tutte le info e il programma su www.prolocovignanello.org.

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Negli stessi giorni, sempre nei pressi di Viterbo, Castiglione in Teverina ospita San Martino Olio Funghi e VinoXXI Festival Enogastronomico. “San Martino olio funghi e vino, un’occasione per gustare prelibatezze, visitare l’antico borgo, scoprire le bellezze custodite nel Museo del Vino, con un passaggio nelle antiche cantine del Paese.

Così si legge sul sito di San Martino Olio Funghi e Vino. Amate i funghi? L’11 novembre alle ore 17.00 si apre la Mostra Micologica dal titolo: I Funghi della Tuscia Viterbese, dove si potrà cenare con piatti tipi a base di funghi, olio nuovo e vino novello a seguire musica. Sabato e domenica il programma prevede un giro al mercatino dell’antiquariato, banchi d’assaggio con prodotti tipici, incontri sull’olio di oliva, sfilate e musica ovviamente pranzo e cena presso la mostra.

E qui ci fermiamo, per il momento, sulle feste della Tuscia, per avvicinarci a Roma e spostarci verso la Sabina.

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Il 12 e 13 novembre possiamo fare una gita a Frascati per La Fiera dei Sapori – Ai Castelli Romani il gusto si mette in mostra. L’occasione è ghiotta per tornare nella cittadina dei Castelli Romani, a pochi chilometri dalla Capitale. A Piazza San Pietro potremo degustare i migliori prodotti enogastornomici dei Castelli come pane, dolci tradizionali, il famoso vino e tanto altro. Non mancheranno percorsi formativi, informazioni e curiosità sulla cucina tipica. Tutte le info su www.castelliexperience.it.

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A Palombara Sabina, invece, domenica 13 si svolgerà Il Giorno di Bacco – XIV Edizione e dalle 12.00 alle 20,00, la XV Edizione della Festa dell’Olio, con al suo interno mostra d’arte, informazioni e dibattito, mini corsi di degustazione e vendita di olio, con bruschetta per tutti. Visite guidate al Castello Savelli e al Museo Archeologico di recente apertura,  mostre di pittura in piazza, degustazione dei principali vini del Lazio e del Centro Italia, in particolare per quelli del territorio del Parco Regionale dei Monti Lucretili.
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E ancora laboratori, scoperta del borgo medioevale, esposizioni dei produttori tipici della zona. Il IV mercatino dell’artigianato propone la mostra di tecniche di lavorazioni tradizionali di vetro, cuoio, legno, saponi, cere, con rievocazione degli antichi mestieri.

E dopo aver pranzato in piazza alla Locanda di Bacco, con i piatti della tradizione, per dolce non può mancare la Pizza Fritta, tipico piatto della tradizione culinaria palomba rese, dolce o salata, o con la nutella.  A me piace molto quella salata.

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E ancora mini corsi di degustazione a livello teorico e pratico con brevi cenni generali sul vino, Storia vinicola del Piemonte e tecniche di degustazione, assaggio di tre vini, compilazione schede di valutazione. Nel pomeriggio animazione con musica e sbandieratori. Per informazioni visitare questo sito.

Nella speranza che il tempo ci assista,  ci sono tutti gli ingredienti per una bella, gustosa, profumata e colorata gita fuori porta.

Articolo di Alessandro Rotondi

verdenaturablog@gmail.com

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I Piaceri del Vino
Degustazione, abbinamenti e ricette
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Zucca marinata

Oggi, sempre nel corso della settimana della zucca, vi proponiamo un piatto light, che conta sole 65 kcal a porzione.

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Ingredienti per 4 persone

  • gr 300 di polpa di zucca mantovana o Hokkaido
  • li 1 di acqua
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 1 cucchiaio di aceto bianco
  • ml 100 di olio evo
  • gr 20 di prezzemolo fresco tritato
  • gr 10 di origano secco
  • 1 spicchio di aglio tagliato finemente
  • 1 pizzico di peperoncino
  • 2 cucchiaini di salsa di soia
  • sale marino integrale
  • rosmarino tritato

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Preparazione

Tagliare la polpa di zucca a fette di 1 centimetro circa, nel frattempo far bollire abbondante acqua con aceto e vino bianco.

Sbollentare le fette di zucca per 2 minuti, scolarle e asciugarle, e disporle su una pirofila.Macrolibrarsi.it presenta il LIBRO: Antiaging con Gusto

Condire con aglio tritato, prezzemolo fresco, origano, peperoncino e un pizzico di sale.

Coprire il tutto con olio evo mescolato alla salsa di soia.

Lasciare in marinatura almeno 5 ore, trascorse le quali scolare bene le fette di zucca e servirle come contorno spolverando di rosmarino.

La restante marinata è ottima come condimento per verdure, secondi e per insaporire la pasta.

Ricetta di Roberta D’Alessandro

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E’ tempo di castagne e vino: XV Festa della Castagna di Vallerano e Sagra della Castagna di Canterano

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Ottobre, castagne, vino di cui, per esempio, l’Alto Lazio è produttore di qualità. Il binomio quanto mai vincente, è al centro delle feste e sagre dedicate all’autunnale frutto.

Ve ne segnaliamo subito due.

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Partiamo con la Festa della Castagna di Vallerano, paese in provincia di Viterbo, la cui castagna ha ricevuto il riconoscimento di DOP. Organizzata dall’Associazione “Amici della Castagna di Vallerano” la XV edizione ha avuto inizio l’8 ottobre e terminerà il primo novembre.

Si può mangiare a pranzo e cena gustando piatti a base di prodotti tipici, nelle cantine scavate nel tufo, prima o dopo aver curiosato nei mercatini di antiquariato e artigianato, a spasso per le bellezze storiche, artistiche e culturali di Vallerano.

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Non manca la musica dei gruppi folcloristici e cortei storici. E ancora esposizioni di opere di artisti locali, presentazione di libri e passeggiate guidate di interesse storico e castagneti secolari.

Il tempo c’è. Il posto è bello. Non ci sono controindicazioni. Il programma dettagliato e tutte le info si possono trovare sul sito www.castagnavallerano.it, su Facebook e sul canale You Tube.

Vallerano è raggiungibile dalla Strada Statale Cassia direzione Viterbo e dall’A1 uscendo a Orte.

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Il 29 e 30 ottobre, invece, è Canterano in provincia di Roma a ospitare la Sagra delle Castagne, organizzata dall’Associazione Culturale La Murritana.

La piazza del borgo, che conta circa 400 abitanti, si animerà intorno al falò dove saranno preparate le caldarroste.

Dopo una gita, magari al monastero di San Benedetto e Santa Scolastica nella vicina Subiaco, o se il tempo è clemente, un’escursione a Monte Livata o al Monte Pillone, possiamo, quindi, far tappa proprio a Canterano, a pranzo o a cena, tra musica e spettacoli folcloristici.

Oltre alla castagne, potremo gustare pizza di grano, piatti e dolci tipici  della stagione contadina, come pasta e fagioli e il dolce di castagne.

Sapori che saranno armonizzati dal robusto vino rosso locale.  Convivialità e familiarità, dunque.

Canterano è raggiungibile con la A24 Roma-Aquila uscendo a Castel MIl GPS Logger Localizzatore Satellitare ad alta precisione piccolo e leggero consente di controllare e registrare e tracciare tutti i spostamenti di una personaadama e proseguire verso Vicovaro-Mandela, oppure percorrendo la Tiburtina Valeria direzione Subiaco.

Per ulteriori informazioni e per contatti:  potete inviare una mail all’indirizzo lamurritanacanterano@gmail.com, oppure telefonare la numero di cellulare 329.7345096 o, ancora, consultare la pagina facebook del gruppo Canterano Storia. Dunque, ci ritroviamo in cantina  o in piazza per una  bella mangiata di castagne e una buona bevutina in allegria

Articolo di Alessandro Rotondi

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